29 Luglio 2025
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Il dibattito pubblico è stato recentemente animato da due #notizie che, pur nella loro apparente diversità, rivelano la persistenza di una profonda #violenzadigenere nel nostro tessuto sociale. Da un lato, l’introduzione del nuovo reato di #femminicidio, con pene severe che includono l’ergastolo e la confisca dei beni, testimonia la volontà legislativa di contrastare una delle manifestazioni più estreme e brutali della violenza contro le #donne. Dall’altro, la denuncia di una pallavolista licenziata perché incinta solleva il velo su una violenza più subdola, quella discriminatoria, che mina l’autonomia e la #dignità femminile nel mondo del lavoro e dello #sport.

Questi episodi, sebbene distinti, convergono in un punto cruciale: la legislazione, per quanto necessaria e progressista, non è sufficiente a eradicare fenomeni radicati in una #cultura che fatica a riconoscere la piena #paritàdigenere. È un po’ come la proibizione del furto: la #legge esiste da sempre, eppure il furto continua a verificarsi. Questo non sminuisce l’importanza della norma, ma ci costringe a riflettere su quanto il #problema sia profondamente intessuto nelle maglie della società, al di là della mera sanzione penale.

Il femminicidio è l’apice di una piramide di violenza che si nutre di stereotipi, pregiudizi e disuguaglianze. La discriminazione sul lavoro per motivi di gravidanza, sebbene meno eclatante, è un tassello della stessa piramide, un atto che nega alle donne il diritto di autodeterminarsi e di conciliare le proprie aspirazioni personali e professionali. Entrambi i casi ci interrogano sulla reale efficacia delle leggi quando non sono accompagnate da un cambiamento culturale profondo e diffuso.

Come possiamo, dunque, affrontare questa complessità? La risposta non risiede in un’unica soluzione, ma in un approccio che agisca su più fronti, combinando l’azione legislativa con un’incisiva trasformazione culturale. È fondamentale investire nell’educazione al rispetto e alla parità fin dalla più tenera età, smantellando le strutture di pensiero che perpetuano la disuguaglianza e promuovendo una cultura inclusiva. Ma c’è di più. In un mondo che ancora fatica a garantire la piena sicurezza e autonomia alle donne, è essenziale fornire loro strumenti concreti per affrontare le sfide quotidiane.

La #difesapersonale, in questo contesto, non è un’espressione di aggressività o un invito alla vendetta, ma un percorso di crescita che si inserisce naturalmente nel più ampio cammino verso l’empowerment. Non si tratta di trasformare le donne in combattenti, ma di dotarle della consapevolezza e delle capacità per riconoscere, prevenire e, se necessario, reagire a situazioni di pericolo. È un allenamento non solo fisico, ma anche mentale, che rafforza la fiducia in sé stesse, la resilienza e la capacità di autodeterminazione. Imparare a difendersi significa riappropriarsi del proprio corpo e della propria libertà, inviando un messaggio chiaro: la dignità e l’integrità di ogni donna sono inviolabili. È un passo concreto verso una società in cui la paura non sia più un limite, ma la consapevolezza e la forza interiore diventino il fondamento di una piena e incondizionata libertà.

#fightforyourlife
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